marco palladino altroversoBiografia:
Fotografo professionista e giornalista pubblicista, dopo la laurea in Lettere Classiche ha approfondito i suoi studi nell’ambito dell’Antropologia Culturale, le Scienze Storico-Religiose e le Scienze Naturali. Si divide tra la professione di fotografo a tutto tondo, per eventi e servizi ai privati, e la personale ricerca iconografica sulle società preindustriali a contatto con la modernità, sui mutamenti sociali indotti dai cambiamenti ambientali ed ecologici. In passato ha pubblicato diversi reportage da Cina e India per Modus Vivendi e La Nuova Ecologia, in particolare occupandosi dell’impatto delle grandi dighe sull’ambiente, sulle società rurali, sulle minoranze etniche. Oggi collabora con alcuni collettivi di fotografia sociale e promuove la diffusione di un fotogiornalismo non legato alla cronaca. Coordinatore dell’associazione Fotobiettivo (www.fotobiettivo.it).

Di M.Palladino si possono leggere i segg. libri:

La terra sospesa – Viaggio in Cina, 2002
Le grandi dighe in Cina – Impatto ambientale e sociale del progetto Tre Gole, 2005
Elegance and Dignity – Stories from India, 2014
Manuale di fotografia digitale.- Teoria e tecnica. Vol.1 (in stampa)

Riferimenti:

Portfolio e blog: www.marcopalladino.net
Archivio: http://fotobiettivo.photoshelter.com
Email: [email protected]

Intervista a Marco Palladino

D. Come è nata in te questa passione per la fotografia? Quando hai iniziato ad appassionarti di fotografia?
R. Ho iniziato a fotografare più di 20 anni fa, con una fotocamera 35mm a ottica fissa, una anticaglia degli anni ’60, avuta in regalo da un mio zio. Da subito la fotografia è stato un mezzo per documentare visivamente i luoghi visitati nei viaggi, un complemento alla scrittura. Fin da allora ho sviluppato una predilezione per il racconto e l’antropologia visuale.

D. A che miti della fotografia prendi spunto? Qual è la tecnica che prediligi? Perché?
R. Con i grandi della fotografia ho un rapporto strano, la mente cerca di coglierne l’essenza, la tecnica, il contesto in cui hanno prodotto certe icone della storia della fotografia, ma alla fine l’istinto sempre si impone per una sua specifica “risonanza” col soggetto fotografato. Non seguo e non ho mai seguito una scuola (intesa come filone) né un maestro in particolare, ma provo sempre grandi emozioni a rivedere anche per l’ennesima volta le fotografie di Salgado, che reggono a qualsiasi tentativo di destrutturazione razionale. Lì vedo gli aspetti formali combinarsi perfettamente con la cultura e l’amore che il fotografo ci ha infuso, immagini “perfette” ma mai retoriche. Amo anche molto le immagini di Don McCullin, per me è il più grande testimone del nostro tempo.

D. Quanto a tua opinione muta il ruolo del fotografo nella società odierna ? Mi riferisco in primis al passaggio dal rullino al digitale e alla semplicità di utilizzo di macchine fotografiche  professionali da parte di tutti  o quasi i soggetti, oltre ovviamente all’abbattimento dei costi.
R. E’ importante capire che non è la fotografia digitale ad aver portato una rivoluzione bensì i mezzi di diffusione elettronici e telematici. Il problema maggiore è la sovraesposizione alle immagini, prodotte e diffuse senza alcun criterio editoriale, l’appiattimento che questo comporta nel pubblico, che poi oggi è a sua volta produttore di immagini. Questa ambiguità è pericolosa. Non c’è niente di più deprimente di ricevere domande sugli aspetti tecnici o tecnologici dietro le proprie foto invece che un interesse per le storie che raccontano, per la ricerca giornalistica, per le persone fotografate. Ovviamente parlo del settore in cui lavoro, ma credo valga anche per la fotografia commerciale in generale. Chi fa il fotografo per lavoro sa bene che a parte alcuni indiscussi vantaggi del mezzo digitale è richiesto lo stesso rigore metodologico per produrre fotografie di valore. Solo si è ampliato il ventaglio di possibilità, si pensi alla fotografia in condizioni di scarsa luce, un miracolo del digitale.

D. Qual è il tuo scatto migliore? Cosa rappresenta per te? Che tecnica hai utilizzato? Cosa volevi sublimare nell’immagine? Qual era la vera essenza?
R. Per me, ma credo che valga per qualsiasi fotoreporter, l’immagine migliore è sempre l’ultima, intesa come l’ultimo lavoro cui ci si è dedicati. La carriera fotografica è un percorso di crescita che non finisce mai, guai a pensare di essere arrivati. Ciò detto amo particolarmente certe mie foto non tanto per la tecnica impiegata quanto per la loro capacità di andare dritte all’essenza o di tradurre visivamente il senso di una storia, è il contenuto a rendermele speciali. Faccio un esempio, uso poco il teleobiettivo, per me la fotografia è stare dentro, raramente vado oltre il 50mm. Tuttavia questa foto scattata con un teleobiettivo, in un reportage di immagini tutte da vicino, è la più rappresentativa. I due esili uomini che spingono una barchetta con bastoni e corde e vanno all’assalto delle gigantesche carcasse di navi, nel cimitero navale di Alang in Gujarat. Il teleobiettivo rende perfettamente con una prospettiva appiattita l’incredibile disparità di proporzioni. E’ una visione quasi prometeica dell’essere umano. Questa foto potrebbe contenere l’intero reportage da sola.

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D. Come dovrebbe iniziare un giovane che si appassiona di fotografia? Cosa dovrebbe fare? Quali sono le mosse giuste da seguire in questo mestiere? Quanto la crisi economica influisce?
R. Rispondo per il mestiere di fotogiornalista. Difficile dare una risposta, non è facile nemmeno per chi è già avviato, tanti fotografi ormai sono diventati free lance non per scelta ma perché il mercato editoriale non può/vuole più permettersi di dare incarichi o investire su progetti importanti. Le foto di guerra vengono vendute a cifre ridicole, solo per fare un esempio. Direi quindi due cose: uno, diversificare, ovvero trovare filoni più redditizi in ambito commerciale, magari contaminando i linguaggi e i media, almeno per pagare le bollette, e poi studiare, darsi tempo, coltivare un progetto con cura, senza cercare scorciatoie; due, assai importante, guardare da subito fuori dall’Italia, in questo paese non c’è mercato per il fotogiornalismo.

D. Cos’è per te la fotografia? E Cosa non dovrebbe essere invece?
R. La fotografia è un mezzo di comunicazione e un linguaggio. Ma è molto giovane. Occorre imparare a distinguere una lista della spesa da una poesia, occorre educare le persone a questa nuova lingua universale. Occorre cultura. Occorre avere qualcosa da dire e poi pensare a come dirla, ho l’impressione che i termini si siano un po’ capovolti.

D. Quanto psicologicamente parlando, uno che svolge la tua professione , deve essere malleabile e riuscire a mettere a proprio agio la persona che si fotografa, cogliendone i tratti salienti?
R. E’ il 99% del mio lavoro sul campo: relazioni. La fotografia che produco è il risultato di una interazione umana, sempre. Bisogna sporcarsi le mani, entrare nelle vite delle persone, cercare di capirle con la pancia, condividere il loro spazio. Non ci sono scorciatoie. Poi certo l’esperienza e il mestiere aiutano. Raccontare delle storie, fotografare degli esseri umani, è un atto di grande responsabilità, non si improvvisa.

D. Perché una persona  dovrebbe affidarti i suoi ricordi?
R. Se ti riferisci ai servizi fotografici come ad esempio i matrimoni è chiaro: acquista il mio occhio estetico, professionale ed educato all’immagine, per un evento che li riguarda, in questo senso cliente e fotografo devono trovarsi e piacersi, l’equazione è facile. Se parliamo di reportage, il discorso è assai più complicato. Lì si è testimoni, di un fatto, di un problema sociale, ecc. Ti viene affidato l’incarico della memoria storica, una cosa non priva di ambiguità. Quanto posso usare mezzi retorici in una immagine di sofferenza, anche se per farla conoscere al mondo? Non ho risposte.

D. Poniamo l’esempio che ti propongano di  fotografare le nozze di una coppia VIP. Il giorno più bello della loro vita, indimenticabile, dove ogni minimo errore potrebbe rovinare quel clima gioioso e di festa. Tu sai che devi immortalare  quei momenti unici cogliendone l’intensità. Ti senti sempre in grado di farlo? Non ti assale mai la paura di sbagliare?
R. E’ il mio lavoro. Ma per me cliente vip o non vip fa lo stesso, l’impegno e il senso di responsabilità professionale sono identici, credo che fare bene il proprio lavoro sia un valore. Ti pagano per questo. Qui la fotografia c’entra poco.

D. Oltre alla tua vena artistica nel campo della fotografia sei anche una persona di cuore , quanto  la tua sensibilità dunque, influisce sui tuoi lavori?
R. E’ tutto. Fotografo storie per le quali sento partecipazione emotiva, diversamente non lo farei. Poi in ambito professionale può capitare di tutto, di coprire news o eventi verso i quali non si sente particolare trasporto. In quel caso si fa il proprio lavoro con coscienza, ma è una altra cosa.

D. A cosa ti dedichi nel tuo tempo libero?
R. Ho un’altra grande passione nella vita, la musica. Suono in una band, è una cosa molto impegnativa, facciamo musica originale. Anzi ne approfitto per fare un po’ di pubblicità al gruppo: www.ideeconfuse.it (potete ascoltare i nostri brani gratuitamente nel sito). Poi c’è la mia compagna, una novità recente, con lei desidero passare più tempo che posso.

D. Tra le varie nazioni visitate e fotografate quale porti nel tuo cuore e perché?
R. Neanche a dirlo: l’India. Il perché lo potete scoprire leggendo il mio libro: “Elegance and Dignity. Stories from India”. Non credo che esista paese al mondo dove sia possibile trovare tutto e il contrario di tutto, dove ci si può perdere completamente.

D. Un tuo sogno nel cassetto è… ?
R. Banale ma in massima onestà lo dico, vorrei vincere un premio importante, un riconoscimento di prestigio internazionale al mio lavoro. Ma sono sicuro che dopo averlo vinto non mi importerebbe molto.

D. Progetti futuri?
R. Diversi. A novembre tornerò in India per documentare una storia che sento molto vicina e complementare ai reportage che compongono il mio libro, una delle tante piccole guerre taciute dai media in seno alla più grande democrazia del mondo. Dove si innestano interessi di lobby economiche potenti e devastazione ambientale ai danni delle minoranze. Sento il dovere morale almeno di tentare.

A Marco Palladino un grosso in bocca al lupo per la sua carriera artistica da parte di tutta la redazione.

Intervista realizzata da Ilaria Solazzo.

“Quando un’intervista vista l’ora è appena finita, una nuova intervista è appena iniziata. Un’intervista per amare, per sognare, per vivere…”

Materiale fornito a titolo completamente gratuito da Ilaria Solazzo e Marco Palladino per “Altroverso Magazine” ed “Altroverso Radio”.

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